25.9.07

MEDIA SPEAK

(...) Roberto Paci Dalò/Giardini Pensili si è dedicato a Beckett in un paio di occasioni: la prima volta con l'installazione visiva e sonora Beck/ett realizzata a Castel Sant’Elmo per la grande mostra dedicata al Living Theatre e curata dalla Fondazione Morra, con la voce campionata di Julian Beck. L’installazione è stata riproposta due anni fa per Riccione TTV 2004, a Villa Lodi Fé. Più recentemente ha dato vita a uno spettacolo videopoetico (altrimenti definito dall’autore “esecuzione scenica”) di notevole valore a partire dall’ultima produzione poetica di Beckett e interpretato da Gabriele Frasca e Patrizia Valduga a loro volta poeti (e traduttori) molto noti nel panorama nazionale, in scena insieme a una giovane e talentuosa attrice francese, Caroline Michel. Qual è la parola si regge su atmosfere rarefatte, trasparenze, voci sussurrate o disperse, parole inanellate a suoni e immagini evocative, in una composizione fragilissima e intensa, sottoposta a un trattamento digitale in diretta. Proprio il digital live è quella modalità - più volte sperimentata da Giardini Pensili - che rende la tecnologia stessa significativo evento poetico in sé. (...)

Anna Maria Monteverdi
www.ateatro.it (100-1, giugno 2006)

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IMPRESIONES DE MEXICO

(...) Il suono, le sonorità, tutti pensano a vedere, a scattar foto, e il suono chi lo registra?
La Bienal de Radio organizzata appunto per relazionarsi alle varie tendenze acustiche in atto nel pianeta radiofonico, e dopo varie sessioni d\rquote ascolto, ho maturato la mia opinione, la radio arte è monotona, troppo generalista nonché generalizzata, perché?

Intanto manca la consapevolezza delle scelte, la coscienza del fare, questi fior d’artisti ipertecnologizzati, registrano fin troppi suoni, senza sapere il perché. Ho chiesto a uno di loro che suono è questo? Risposta: “Boh, era in una strada”. O quel suono d’animale? Che animale? Risposta: “Non ricordo, un elefante forse”. Questo uso più deleterio che si possa fare della tecnologia, sostituirla all’intuito operativo, all’oggetto creativo stesso. Non si va da nessuna parte per questa strada: improvvisazione e pressapochismo. Sarà perché la poesia sonora mi ha abituato a un certo rigore, a un controllo costante degli elementi coinvolti, che fatico a sopportare lavori sonori dove un pinco pallino qualsiasi prende un tubo di plastica rossa e vi soffia dentro direzionandolo verso il microfono, nella fattispecie Jorge Reyes, poco rey invero. Suggerirei un po d’umiltà, quella che aveva il microfonista protagonista di un film di Wim Wenders, Lisbon Story. Umiltà prego, e non fanfaronate con tanto di fumo negli occhi come nei peggiori concerti rock. In un panorama tanto piatto, si staglia netto e nitido Petroleo México di Roberto Paci Dalò, perché organico, ha una struttura riconoscibile, una continua tensione sonora che obbliga collettivamente a un ascolto attivo, solidità coerente e densa di suoni messicani nonché una rumoristica preleveta dal vivo, giudiziosamente filtrata della mano sapiente del direttore d’orchestra che non si sbraccia più ma calibra l’opera attraverso minimi movimenti alla console, per un insieme piacevole all’orecchio e alla vista perché ci sono immagini registrate ad hoc, altre vengono mixate via internet da Vancouver e interagiscono con quelle di Messico, rigorosamente non a colori, scelta quanto mai azzeccata questa del bianco-nero, perché nell’oscurità del teatro stracolmo, quello schermo in chiaroscuro sembra un mare di notte (di note?) in movimento, un inquieto agitarsi di ombre cinesi; poi montaggi decisi con un film messicano di Ejzenstejn, passaggi rapidi tra immagini storiche e scorci dell’oggi ma così ben gestiti che quasi quasi uno nemmeno si accorge dello stacco.

Questa storia di Sergej Michajlovich Ejzenstejn va raccontata: dopo lo spettacolo tutti a congratularsi per la bella e affollata performance, sicuramente l’evento clou della Biennale, ma c’è un neo, nella lunga lista dei credits, manca il nome del regista russo, scandalo perché tutti (ma sarà poi vero) lo hanno riconosciuto; si fa un gran parlare ma al solito nessuno che si sia documentato, prima di parlare o scrivere bisognerebbe conoscere.

... Ejzenstejn dopo una fallimentare parentesi hollywoodiana se ne va in Messico, anni Trenta, tipico. Tutti andavano in Messico in quel tempo: Tina Modotti, Edward Weston, Artaud, Buñuel e così via, perché? Perché tutto quello che uno non poteva fare nei liberi e democratici United States of America, o nel ben edicato ma soffocante Vecchio Continente, lo faceva in terra messicana (amche il finale del già trasgressivo On the Road del santone beat Jack Kerouac non termina forse in un bordello messicano? Così Sergej sbarca a Città del Messico animato dalle più sane intenzioni di poter realizzare i suoi progetti cinematografici, e fortunatamente finanziato da Upton Sinclair gira ben 64.000 metri di pellicola perun film che avrebbe dovuto intitolarsi Que Viva México (1931-32) ma un grave dissenso con Sinclair impedì che fosse terminato. Tutto quel materiale venne arbitrariamente montato in un’opra che si chiama Lampi sul Messico, 1933, e allora, come la mettiamo con i credits? È corretto aver omesso il nome del regista russo... quando si dice la consapevolezza... Fantasia messicana. (...)

Enzo Minarelli
Juliet, 120, december 2004-january 2005

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i enjoyed your music very much and wish you great success in your future projects. with best regards and much respect,
John Zorn

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"...if the new multimedia is going anywhere at all, Paci Dalò's "Animalie" is leading the way, a truly great show!!!!"
Alvin Curran

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Giardini Pensili ha il merito insieme a Carmelo Bene di sperimentare sulle frontiere dell'arte e questa è una cosa molto importante perché essere musicisti facendo gli attori e viceversa, essere drammaturghi in assenza del melodramma, che un tempo legava le due cose crea potenza. Come Carmelo Bene crea musica col sottofondo di Verdi, con il primo violino di un'altra Traviata ancora o la Callas che canta...
Giardini Pensili ha questa forza che, agendo fra due arti e anzi in generale fra le arti, è esperta del vuoto. Le arti si parlano ? e questo è molto difficile ? a partire dalla loro zona di vuoto. Questa è la questione perchè in definitiva il conflitto tra Penteo e Dioniso è il conflitto del vuoto. Di che cosa c'è dopo. E i greci immaginavano la mente come uno spazio vuoto. Per questo l'architettura del teatro assomiglia a quella del cervello. È un'ipotesi azzardata però io credo che veramente la mente sia il sole nero del tempo della grecità. Non a caso i barbari erano quelli della mente selvaggia. Non credo che fosse più selvaggia di Euripide quando scrive queste cose...
Claudio Meldolesi

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Conosco Roberto Paci Dalò per i suoi numerosi progetti radiofonici, nati dal connubio con Isabella Bordoni sotto la sigla comune di Giardini Pensili, a cui Audiobox ha spesso cercato di dare risonanza. La complessità progettuale di questi radioworks riusciva, sempre, da La Natura Ama Nascondersi a La lunga notte dal Combattimento tra Marsia e Apollo (in combutta con Jon Rose) a Lost Memories a sciogliersi nel canto; la linea sonora, incrinata, sospesa, frammentata, trovava, per certe strane forme di attrazione o per una esuberanza magnetica, la via di un lirismo nè solipsistico nè fanfarone ma, non saprei definirlo meglio, organico e unitario. Poi un giorno ci viene a trovare portandoci un’altra cosa: Xeno. Un pugno di canzoni, un trio di musicisti, clarinetti, fisarmonica e violino. Ebbene: Xeno suona. Gli strumenti fanno il loro lavoro, non si dicono o si eludono (con procedimenti fin troppo di maniera in tanta musica improvvisata), non balbettano nè mimano suoni che avrebbero potuto essere. Le linee melodiche si incrociano e si intersecano, talvolta tengono bordone, talvolta scendono piste diverse, poi si rincontrano, virano o si lanciano in improvvisi unisoni; si riconoscono echi di ballate popolari come di certe melodie di Messiaen di Ligeti, chiamano intorno a un fuoco comune o a passeggiate solitarie da ubriaco. Roberto la chiama musica colta ballabile. Non sfugge il fatto che non commette l’errore di dichiararla, al contrario, musica popolare colta, come cercano di fare quelli che portano il canto popolare in museali sale da concerto a pietire una dignità che non a caso (grazie al cielo?) gli è stata sempre negata; Roberto sa, orgogliosamente, di essere un compositore, può finanche vantare un’estrazione colta, ma riesce perfettamente nell’impresa di dare suono, sangue, nervi e pelle, insomma ritmo, a questa musica.
Pino Saulo

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the interview to Paci Dalò published in UT Ultratomato magazine

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the book L'incertezza creativa - i percorsi sociali e comunicativi delle performance artistiche by Laura Gemini, published by Francoangeli http://www.francoangeli.it
with exclusive interwies to Giardini Pensili

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the book Sguardi - dentro e fuori dall'arte edited by Gioia Costa, published by Fondazione RomaEuropa and Editoria & Spettacolo

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